Il pensiero per essere espresso si deve incarnare: questo mi ricorda qualcosa.
Lo Spirito ha bisogno di un corpo, il contenuto di un contenitore, a imitazione del gesto di Dio. In arte si parla di forma e sostanza che devono essere coincidenti, coerenti e simbiotiche, distinte ma fuse in un’unica identità: anima e corpo, a nostra immagine e somiglianza. La nostra Parola siamo noi, a immagine e somiglianza di un Dio incarnato nella Sua Parola: un MISTERO GRANDE.
Bene, tutto questo per dire che porre per scritto i pensieri oltre a non essere una perdita di tempo, è una necessità: senza un contenitore, e la parola scritta è un’eccellenza tra tanti possibili contenitori, il pensiero non può “incarnarsi”, manifestarsi e agire. Resta un fantasma muto, senza nome, senza volto e senza destino.
Rimane tale dentro di noi, come un aborto che genera infezione.
E’ uno spreco e, dunque, un peccato.
Per altri versi, poiché ogni verità si ricollega al suo centro, avevo intuito fin dai primi anni che il senso del vivere non consisteva in un accumulo di fatti, capivo che non si poteva raccontare la vita con la sola cronaca, era indispensabile porsi domande, relazionarsi col quotidiano, chiedersi “cosa c’entro io con l’epoca in cui vivo, chi sono, cosa voglio e dove voglio andare, di cosa riempio le mie giornate”, “cosa mi si muove dentro”.
Per indagare questi argomenti mi è sembrato utile prendere appunti per tenere a mente, insieme ai fatti, i pensieri, studiando la loro dinamica interdipendente che spiega il vivere.
La prima cosa che ho fatto è stata provare a dipingere, questo per darmi tempo, in un’età in cui mi era ancora precluso un dialogo sistematico con l’inconscio.
Col passare degli anni, riflettendo sulle opere uscite dalle mie mani, compresi sempre meglio che il linguaggio metaforico e allusivo della pittura, non sarebbe bastato per afferrare saldamente la volatilità del pensiero, rapido e involuto nell’atto di rappresentare i sentimenti, sarebbe stato necessario incrociare i suoi percorsi ragionando a tavolino, con la chiarezza della parola scritta.
“Verba manent”, qualcuno mi aveva assicurato: io ne presi nota.
Così fissai degli appuntamenti nel tempo. Ogni anno avrei fatto il punto nave esistenziale rintracciando i tratti salienti della mia storia attraverso la narrazione di capitoli che descrivessero gli ambiti in cui mi muovevo.
Fare per capire, capire per fare: una verifica incrociata delle intenzioni attraverso le opere.
Facile e conseguente, da questo metodo, traslare il concetto nell’arte:
Nella mia mente era nato un progetto: la SINFONIA.
Il resto del tempo, l’ho impiegato per aggiungere strumenti e voci alla mia orchestra, come ho potuto e secondo le migliori intenzioni.